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Ulan Bator (+ TV Lumière) @ Locanda Atlantide
Savoir-faire

Roma, 19/gennaio/2006

La scena live romana del due mila e sei prosegue allo stesso modo con cui era finita nel due mila e cinque: ricca di serate interessanti e di artisti validissimi. Dopo i Funkstorung al Circolo degli Artisti e dopo la strampalata Kevin Blechdom al Forte Prenestino è la volta del trio francese degli Ulan Bator che torna a Roma dopo circa un anno ma questa volta con la formazione originale, tant’è che Amaury Cambuzat, leader della band (ormai italiano d’adozione), ha dichiarato di essere emozionato per essere tornato a suonare con loro dopo 7-8 anni. La location è la Locanda Atlantide e l’affluenza è davvero molto buona.
Aprono gli umbri TV Lumière (gruppo prodotto dallo stesso Cambuzat) che intraprendono un’interessante operazione di sottrazione del noise rock in stile Sonic Youth, togliendo la componente dissonante e sostituendola con armonie più morbide e digeribili. Piace anche l’intersecarsi di voci acide, in particolare quella della bassista, e di melodie costruite sulla lezione del cantautorato italiano della nuova generazione (per intenderci quella dei CSI, dei Baustelle e degli Offlaga Disco Pax) non disdegnando timbriche alla Stephen Merritt (Magnetic Fields).
Gli Ulan Bator aprono con “Polaire” un bignami del post rock anni ’90 (Slint e June of ’44), rarefazioni chitarristiche alternate a sprazzi di armonica, a suoni taglienti e a forti scosse ritmiche, davvero un gran bel pezzo. Mano a mano che si prosegue emerge chiaramente la loro vena melodica di stampo transalpino, capita perciò di intrasentire ombre di melodie da chansonnier parigino sopra una struttura krautrock, o sopra un organo psicotico, addirittura sullo pseudo discopunk di “God/dog”. La Francia la si percepisce anche per la loro predilizione all’uso di tempi multipli del ¾ (anche se è forte il sospetto che l’influenza maggiore sia lo stile di conduzione del Tg1 da parte di Lilli Gruber), destrutturati e finemente ristrutturati con pregevoli rifiniture (no agenzie).
In scaletta ci sono anche pezzi più scanzonati e accessibili, frutto della recente ricerca del gruppo sulla forma canzone (presente soprattutto nel loro ultimo lavoro “Rodeo Massacre”), in cui la spontaneità prende il posto del ragionamento analitico pur operando sempre con la consueta classe. Tutto è suonato senza inutili orpelli, senza superflue sovrastrutture, in maniera essenziale, lontana anni luce dal progressive dei primi esordi, e il sound risulta più graffiante rispetto alle loro incisioni da studio, ma gli ingranaggi mostrano la stessa perfezione.
Il set di circa 80 minuti viene chiuso dall’immancabile bis (ottima la scelta di “D-Press TV” e di “Joueuse De Tambour”) in orario tutto sommato accettabile (visto l’andazzo che c’è a Roma) e lascia davvero un ottimo retrogusto nei padiglioni auricolari, come se ci avessero versato uno Chateau Les Ormes de Pez Cru Bourgeois d’annata (vino della regionde del Bordeaux piacevolmente rotondo e fruttato, possiede il sapore speziato dei Medocs settentrionali con una punta di acidita' dovuta all'alto rendimento).
Abbientò, speriamo!

Daniele “Frigez” Gevrey-Chambertin
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